L'edificio che ospita la nostra sede in passato era l'Antica Osteria del Purullo ma forse non tutti sanno perché avesse questo nome.
O Purullo in realtà era il soprannome dell'antico proprietario, Bernardo Parodi, detto per l'appunto O Purullo.
Nel volume di Attilio Canneva: NOIÄTRI. Personaggi sestrini del passato, Edizioni Monte Gazzo, Genova Sestri, 1997, l'autore descrive O Purullo Bernardo Parodi (1868-1954), con queste parole:
Faceva il piazzista di verdura al mercato all’ingrosso. Ma lui, a Sestri, è passato alla storia per la sua baracca a Pian dei Galli, sotto il Gazzo, dove di domenica la gente si dava appuntamento per ballare. Era una scarpinata arrivare fin lassù, anche se il peso maggiore, cioè il pranzo, chi poteva lo faceva portare dall’asino: stufato in casseruole di terracotta e “buridda”.
Quelli che non possedevano il prezioso animale erano invece costretti ad arrampicarsi su per il pendio con attaccati al braccio canestri e cavagnette. Una volta arrivati, stendevano la tovaglia sull’erba o sul tavolo dell’osteria e iniziavano a tirare fuori uova sode, fave, salame, pane e torta pasqualina.
“O Purullo” ci metteva il vino, oppure le famose gazzose con la biglia, e la gente si divertiva a ballare polke, mazurche e valzer fino al tramonto.
Un’espressione riferita a lui è stata per anni un modo di dire molto in voga tra i sestrini. Si trattava dell’esortazione “Marca, Purullo!”, nata forse tra i clienti della baracca che - senza soldi - dopo aver bevuto gli dicevano appunto di “marcare”, cioè di mettere in conto. Oppure può darsi che fosse riferita al suo lavoro di piazzista, dove la maggior parte dei clienti pagava al sabato. Chissà da dove è scaturita: è sempre difficile determinarlo quando si tratta di cose tramandate di bocca in bocca.
In pieno agosto, quando faceva molto caldo, aiutandosi col bastone da passeggio spuntava in fondo a via Goldoni assieme a “Cicchin”, un suo amico carissimo col quale si dava rispettosamente del “voi”.
Noncurante del sole che picchiava senza pietà, vestiva col suo caratteristico “gipponetto” e il “mariölo” di lana con le mezze maniche. Anche “Cicchin” - uomo di penna, impiegato da Bagnara dei legnami dove teneva conto dei carichi in entrata e in uscita dallo stabilimento - quanto ad abbigliamento non scherzava: camicia, giacca in grisaglia
di cotone e sulla testa un bel panama.
Erano diretti come sempre sotto i portici, nel bar vicino alla farmacia del dottor Siri, con l’intenzione di mandar giù un grappino, quasi un digestivo dopo il pranzo. Per un eccesso di buona educazione, il più delle volte - tra un “lasciate stare il portafoglio che oggi tocca a me” e il conseguente “pago io, non insistete!” - finivano col litigare.
L’oste dall’altra parte del bancone lasciava fare, osservando la gustosa scenetta in silenzio: in definitiva la cosa più importante, l’aveva capito anche lui, era che qualcuno saldasse il conto!
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